Storia


Novità archivistiche su MANDURIA-CASALNOVO

MANDURIA-CASALNOVO*:

EMBLEMA CIVICO E INEDITI
                                                                                                      Nulla può esservi di ostacolo,
quando può accrescersi il lustro
e il decoro della Città.
QUINTILIANO

Premessa
Viene riproposto, in questa sede, un breve contributo che nel 2003 fu ospitato sulla rivista tarantina “Cenacolo”1. Pensiamo di offrire, come già allora, soprattutto alla collettività manduriana, una preziosità archivistica costituita dal sigillo cartaceo, raffigurante probabilmente il primo e più antico emblema cittadino, che abbiamo avuto la ventura e il piacere di rinvenire alcuni anni fa nel fondo documentario Torri e Castelli dell’Archivio di Stato di Napoli2. Di due sigilli contenuti in quest’ultimo fondo, apposti a chiusura di attestazioni sottofirmate dalle autorità cittadine della seconda metà del ‘500, si forniscono una puntuale descrizione e le riproduzioni fotografiche previa debita autorizzazione. Inoltre, abbiamo ritenuto importante trascrivere e pubblicare in appendice, non senza fatica e dubbi, a causa di guasti operati dal tempo sul documento o di grafie e/o abbreviazioni non sempre intelligibili, le inedite carte in cui essi giacciono. 
Altri documenti, relativi a Manduria-Casalnovo, abbiamo tolto all’oblio quasi per caso,percorrendo (sia nell’Archivio di Stato di Napoli, che nell’Archivio Segreto Vaticano) ben altri itinerari e tematiche di ricerca, ma ugualmente da noi, per così dire, “inventariati” o annotati, benché ciò abbia comportato un aggravio non solo in termini di tempo, richiesto già di per sé da alcuni fastidiosissimi fondi archivistici, come quello vaticano della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, per segnalarne a storici e studiosi l’esistenza, o fatti microfilmare o fotocopiare per destinarli ad una più o meno immediata fruizione attraverso una nostra semplice e modesta illustrazione che, da tempo, sentivamo di dover dare ad una comunità ricca di storia e culturalmente vivace, qual è quella manduriana, che tante suggestioni, occasioni di crescita e ricchezze interiori ci ha profuso e continua a profonderci.
L’emblema civico di Manduria-Casalnovo  
Molto nota, per essere stata validamente illustrata da Nino Palumbo in specifiche sue pubblicazioni3, è la storia dello stemma civico della città di Manduria. Una storia avvolta nella leggenda, peraltro già appassionatamente sintetizzata sul finire dell’Ottocento da quell’illustre figlio manduriano, che risponde al nome di Giuseppe Gigli, allorché vennero concessi alla cittadina messapica il titolo di Città e l’adozione dello stemma municipale. Dal Commissario del Re Umberto I, con nota del 21 aprile 1895 inviata al Ministro Crispi, fu espresso parere favorevole di concessione di quel titolo, ma fu fatto invito al Municipio di Manduria di corredare la pratica di un essenziale scritto storico giustificativo.  
 L’amministrazione comunale del tempo conferì l’incarico al Gigli, allora Regio Ispettore di Scavi e Monumenti d’Antichità, il quale nel suo breve profilo storico di Manduria ne delineava le remote e leggendarie origini, ne illustrava le fortificazioni e gli assedi sostenuti nei tempi antichi e, soprattutto, puntava l’attenzione sul Fonte, oggi detto pliniano, che, «disegnato colla sua vasca e con dentro un albero di mandorlo, fu da tempi abbastanza remoti adottato dalla città quale suo stemma civico»4. A dimostrare l’antichità di tale emblema, egli portava due principali documenti. Il primo lo indicava nel bellissimo pulpito ligneo esistente nella Chiesa Madre, dal Gigli ritenuto cinquecentesco (ma in realtà datato 1608), che tra i diversi fregi e soggetti scolpiti ha«appunto lo stemma della città, con le iniziali F.M. cioè Fons Mandurinus»5. Il secondo documento, citato dal letterato ottocentesco, era nel frontespizio di un volume in folio di oltre mille pagine, noto con l’appellativo di Librone magno, iniziato intorno al 1572 dall’arciprete di Manduria Lupo Donato Bruno, «nel quale è l’elenco di tutte le principali famiglie Manduriane». Proprio sul frontespizio di questo libro, precisa il Gigli, «vi è disegnata magnificamente la vasca del nostro fonte, con entro un albero di mandorlo, e le iniziali F.M.»6
Un altro degno e illustre figlio manduriano, Michele Greco, medico umanista e rigoroso cultore di storia locale, come già aveva fatto in precedenza, non mancò di sottolineare durante una sua conferenza – “del Genio in riva…” lu Scegnu – tenuta nel 1957, poi edita e di recente riproposta in un elegante volume7, come il Fonte rappresentasse un forte e peculiare simbolo cittadino, non trascurando di annotare, in una sorta di ordinato excursus evolutivo, la presenza del vecchio stemma di Manduria: un albero a radici nude, riprodotto in duplice scudo nel bellissimo portale della Collegiata, datato 1532 e firmato da un non meglio identificato maestro Raimondo da Francavilla, e «nell’altro scudo posto sull’arco d’ingresso del Coro della stessa Chiesa e portante la data del 1544»8.
Oltre agli altri due stemmi-documenti citati dal Gigli, quello del Librone magno del 1572 e quello del pergamo della Chiesa Madre del 1608, Michele Greco annoverava l’altro stemma in rilievo sulla campana civica del 1625, opera del maestro gallipolino Giovanni Vincenzo Bono, la quale durante la Seconda guerra mondiale, fu dallo stesso Greco fortunosamente sottratta alla fusione per essere trasformata in armi da guerra e oggi può essere ammirata nella gloriosa Biblioteca civica “Marco Gatti”, dov’è custodita.
Al medico-bibliotecario manduriano si deve, inoltre, l’ipotesi dell’esistenza di un feudo territoriale, incentrato intorno al Fonte, a suo parere «ben distinto da quello di Casalnuovo. Esso comprendeva», scriveva il Greco, «i terreni attorno al Fonte, circoscritti, secondo un documento da me rinvenuto in un Campione o Platea del Monastero degli Agostiniani o di Santa Maria di Costantinopoli, fra la Chiesa dell’Annunziata, la Cappella ora distrutta di S. Giovanni, la strada della Chianca Vecchia e S. Pietro Mandurino e fu detto, per distinguerlo dal Feudo di Casalnuovo, F e u d o M a n d u r i n o , o del Fonte, o, per ricordare l’albero rifiorente, M e n d o l i n o»9.
Potrebbe il sigillo civico di Casalnovo essere ricondotto a quest’ultima flebile ipotesi del Greco, considerata anche la contemporanea dualità di emblemi, quello che nel tempo ha prevalso con la sigla “F.M.” e l’altro che ora presentiamo recante le lettere “C.N.”, entrambi comunque rappresentativi della comunità casalnovetana? Chissà. In effetti, le lettere maiuscole presenti nello stemma, una C nel lato sinistro e una N nel lato destro dello scudo sagomato e lievemente accartocciato nella parte superiore, non lasciano margini di dubbio: si tratta rispettivamente delle iniziali dei termini CASALE e NOVO (con le possibili varianti formali o la eventuale forma latina) che, nella chiusura del documento in cui il sigillo compare, sono riuniti - prima della data - nell’unico termine CASALNOVO. Lo scudo è inscritto in una ben visibile linea a rilievo di forma ovale, intorno alla quale ruota un doppio giro perlinato sempre a rilievo e della stessa forma. 

Nei suoi elementi figurativi, il sigillo può essere inquadrato secondo le sue piccole dimensioni e misure: 2,5 cm di altezza lungo la linea mediana verticale e 2,1 cm di larghezza lungo la linea mediana orizzontale, rapportate al giro dell’ovale perlinato esterno, mentre le due lettere maiuscole, C ed N, hanno un’altezza di circa 2 mm; lo scudo, invece, sempre lungo le linee mediane verticale e orizzontale, misura all’incirca 2 cm di altezza per 1,2 cm di larghezza. Questa aridità di dati e misure e le piccole dimensioni dello stemma nulla tolgono alla bellezza del sigillo in sé e alla chiarezza della figura che campeggia nello scudo: una vasca o vera di pozzo rotonda nella quale un albero chiaramente fruttifero affonda il suo tronco e le sue radici che nude fuoriescono sotto di essa.
Dopo questa prima sommaria descrizione dello stemma, risaltano evidenti le differenze, più o meno rilevanti, tra esso e gli altri emblemi “mandurini” della stessa epoca, mentre il mandorlo fiorito dell’attuale stemma civico manduriano stride non poco, essendo del tutto difforme, con l’antico albero fruttifero che pure era ben facile riscontrare come tale, per esempio, nello stemma ligneo del 1608 o in quello raffigurato a rilievo sulla campana bronzea del 1625. Non va posto nemmeno in secondo piano l’elemento fortemente simbolico dell’albero a radici nude e vive, così come è nel sigillo cartaceo cinquecentesco e nei coevi scudi ai lati del portale della Collegiata o, ancora, nello stemma del pulpito ligneo; particolare, questo, forse più difficile da cogliere o considerare, epperò sfuggito nel momento della definizione ottocentesca dello stemma civico.
Più significativa e sostanziale è, invece, la differenza, se si considerano le lettere maiuscole che compaiono nei diversi stemmi cittadini. Quelle presenti nel sigillo cartaceo, la C e la N ai lati dello scudo, sono state già spiegate nel loro palese e inequivocabile significato. Resta da spiegare il senso delle due lettere, una F e una M, che figurano all’interno dello stemma o scudo, rispettivamente accostate a sinistra e a destra del tronco dell’albero o, nel caso dello stemma del Librone magno, accostate alla base della vasca monopoda. Non convince il significato di FONS MANDURINUS, a quella sigla dato nella sua relazione da Giuseppe Gigli e attualmente presente come tale nella blasonatura definitiva concessa alla città di Manduria nel 1895. Neppure Michele Greco ne era del tutto persuaso, pur avendo interrogativamente pensato anche all’altra molto meno convincente soluzione di FELIX MANDURIA10.
Riguardo all’emblema cinquecentesco, che senza ombra di dubbio fu utilizzato quale simbolo della municipalità di Casalnovo, non ci si spiega come di fatto sia così raro rinvenirlo, in maniera più scoperta e visibile, in testimonianze scultoree, a rilievo o pittoriche, alla pari se non in numero maggiore dell’altro emblema con la sigla “F. M.” che, di contro, fu anche riprodotto in una tela di Diego Bianchi datata 1717 e trovò modo di apparire, curiosamente abbozzato, nei frontespizi del primo e del secondo volume del Catasto onciario della Città, intorno alla metà del Settecento.
Quanto alla tipologia dei documenti nei quali compare lo stemma a secco del comune, accompagnato dalle firme del capitano, del sindaco, degli auditori e degli eletti casalnovetani, va sottolineato che si tratta di documenti di natura amministrativa e contabile, definiti propriamente “Cautele del Razionel”, che venivano autenticati dal notaio del luogo e rappresentavano la documentazione ufficiale richiesta da percettori e tesorieri provinciali per regolarità contabile. Sulla scorta di tale documentazione, l’autorità regia provvedeva a rimborsare alle università il salario da esse anticipato per i pagamenti di torrieri, cavallari e aiutanti che avevano «servito continuamente di notte et di giorno», come si legge in una di queste attestazioni riguardanti la terra di Casalnovo, «alla guardia de la torre di Santo Pietro bavagna»11.
Ricca e abbastanza nota è la bibliografia sulle torri costiere per la difesa dalle scorrerie barbaresche12. Basti qui ricordare che al mantenimento di tali strutture difensive erano tenute tutte le Università del Regno di Napoli, ma in particolare quelle situate entro un limite di 12 miglia dalla costa, attraverso una tassa gravante sul “focatico”.
I documenti inediti di Casalnovo-Manduria, oltre allo stemma a secco del comune e agli aridi dati contabili, ci restituiscono i nomi delle civiche autorità e dei pubblici ufficiali, dei notai, dei torrieri e dei loro aiutanti, dei percettori fiscali di Terra d’Otranto di quegli anni 1577-78. Vi è, per esempio, quel tal Pirro Varrone, figlio di “ebrei neofiti”, nella sua veste di sindaco, che gli storici locali ricordano come uomo di un certo rilievo e grande benefattore, per avere con suo testamento del 1587 istituito in città il Venerabile monte di pietà. «Questa posizione», scrive Rosario Jurlaro, «pare che egli l’abbia però usurpata in parte alla cognata Alessandra Bonifacio e in parte al marito di lei, suo fratello Luigi. Alessandra gli passò i beni suoi e quelli del marito “con patto e condizione che dopo la morte di esso Pirro la debbia lasciare ad pias causas». Inoltre, «sul suo conto non è mai pesato il sospetto che fosse stato usuraio, padre di figli spurii, mandante di certi delitti. Nessuno poteva pensare che avesse amministrato con sistema clientelare, stante la sua ricchezza, da corrotto e corruttore, minaccioso nei riguardi di tutti»13.
Non mancano nei documenti che pubblichiamo, come già abbiamo accennato, i nomi di cancellieri e notai casalnovetani, tra i quali vanno ricordati Orazio Sorano, Cesare Demetrio, Gabriele Bianchetto e Geronimo Sicardo o Siccardo. Di questi ultimi due i documenti napoletani ci restituiscono anche i loro rispettivi tabellionati14.
Oltre ai documenti del fondo Torri e Castelli, abbiamo considerato di un qualche interesse pubblicare due lettere rinvenute nel fondo Sommaria Partium15, sempre dell’Archivio di Stato di Napoli. Tralasciamo il fatto che le due lettere sono entrambe ricorsi contro imposizioni fiscali locali, la prima del 1565 a nome di un ex-soldato di origini spagnole abitante a Casalnovo16, la seconda, del 1566, presentata da quei cittadini casalnovetani che, possedendo «robe stabile in territorio de queste terre de Ugiano Montefuscolo, Pulsano et altri lochi de questa provintia dele quale pagano et contribuescono a li pagamenti fiscali ordinarij et ex-traordinarij dela Regia corte como bonatenenti», trovavano logicamente ingiusto pagare le tasse per gli stessi beni immobili anche alle Università nei cui territori insistevano i loro possedimenti17. Ci preme piuttosto ribadire, ammesso che ce ne sia bisogno, l’importanza della ricerca storica a tutto tondo che consenta ulteriori scoperte, approfondimenti e conoscenze, in grado di farci delineare più vivide fisionomie delle nostre genti e migliori ricostruzioni di vicende, costumanze, ambienti del passato. Archivi pubblici e privati, archivi ecclesiastici, fondi manoscritti conservati in biblioteche pubbliche e private, oggi meglio esplorabili e accessibili grazie alle tecnologie informatiche e alla rete web, celano chissà quali e quanti tesori bisognosi e quasi ansiosi di brillare al di fuori delle polveri del tempo alla luce della conoscenza e della curiosità di studiosi ben “attrezzati”, attenti e rigorosi.
A sostegno di questo nostro punto di vista, di sicura ed unanime condivisibilità, citiamo il fondo vaticano della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari18, di fastidiosa e, supponiamo, non frequente consultazione, che rappresenta una vera miniera di documenti di ogni sorta (lettere, memoriali, richieste e attestazioni varie, nonché copie con autenticazioni notarili di atti più antichi19, perlopiù di natura o materia ecclesiastica), nei quali abbiamo avuto l’ardire o la necessità di mettere le mani, con l’obiettivo di trarne materiali utili a illuminare il periodo dell’episcopato tarantino di monsignor Tommaso Caracciolo (1637-1663)20, e non solo. Proprio mentre, nella sala di consultazione dell’Archivio Segreto Vaticano, attendevamo alla polverosa, lenta e paziente “scartabellatura” di mazzi di documenti sciolti, ci siamo imbattuti nel fascio di lettere del 1645, riguardanti la sede vescovile di Oria, che ci ha regalato la gradita sorpresa di un altro esemplare di mediocre nitidezza dello stemma a secco della Terra di Casalnovo, a dimostrazione della sua utilizzazione anche in periodo seicentesco.
I documenti vaticani del 1645 raccontano della controversia giurisdizionale sorta a causa dell’erezione, non autorizzata, di un baldacchino nella Chiesa collegiata di Casalnovo, che in realtà, secondo la testimonianza resa da diversi testimoni, consisteva in «una Cultra posta in modo di sotto Cielo à modo di Baldacchino, e sotto d’esso v’è l’immagine di Nostra Signora del Santissimo Rosario»21La Curia vescovile oritana aveva scomunicato il governatore dello “Stato marchionale” di Oria, Costantino Primicerio, nonché «il Capitano, Sindico, Camerlengo, et eletti di detta Terra» di Casalnovo22, e ne aveva interdetto la Collegiata, ma l’arcivescovo Tommaso Caracciolo della curia metropolitana di Taranto aveva «proceduto alla suspensione di detto Interdetto» e «dato l’assolutione a’ detti scommunicati»23.
Contro la decisione dell’arcivescovo di Taranto, aveva levato la sua protesta il promotore fiscale della sede vescovile di Oria, in quel tempo suffraganea di quella tarantina, spiegando che «di simili et altri aggravij no’ facendosi la dimostratione che si conviene, resterebbe detta Curia Vescovale spogliata della sua giurisdittione ordinaria, et offesa anco la S. Congregatione dell’Immunità quale ha’ riserbata a’ se la cognitione di dette cause». Siccome la curia vescovile di Oria aveva «per sospetto, e sospettissimo detto Monsignor Arcivescovo, e tutti li suoi officiali, e Corte in solidum», ne chiedeva la giuridica ricusazione in modo che «s’eliga altro Giodice non sospetto per le cause d’appellatione di detta Curia Vescovale, maggiormente che essendo ne tempi antichi la Chiesa d’Oria Arcivescovato di Brindisi, dalla dissunione in qua ha’ riconosciuto per Metropolitano l’Arcivescovo di Taranto, havendolo eletto voluntariamente, come si vede dalla separatione della Chiesa predetta ch’a’ suo luogo, e tempo si presentarà, soggiungendo di più, che permettendo detto Arcivescovo l’uso del Baldacchino ad alcuni Baroni della sua Diocese, facilmente potria essere favorevole per detto Marchese d’Oria»24.
Interrompiamo qui i riferimenti e le citazioni delle tortuose prose epistolari seicentesche, rinviando ai testi integralmente trascritti più avanti nella sezione documentaria, non senza aver prima segnalato un’altra lettera dello stesso fondo vaticano, del 25 aprile 1653, con la quale i cittadini di Casalnovo supplicavano gli eminenti cardinali della Sacra Congregazione affinché si degnassero di ordinare al “moderno Vescovo” di Oria l’aumento del «numero delle monache del monasterio di detta Terra» da quaranta a cinquanta, «essendo per loro il monasterio capace di maggior numero, non v’è altro monasterio in detta Terra la quale fa’ sopra novemila anime»25.
Chiudiamo finalmente questo nostro piccolo contributo storico, dicendo che, forse, in virtù della novità archivistica del sigillo civico di Manduria-Casalnovo da noi presentata, sarebbe opportuno, o auspicabile, rivedere nel modo più equilibrato e confacente alla realtà e verità storica, l’attuale emblema municipale, per meglio precisarne le caratteristiche e i suoi chiari elementi figurativi e simbolici.

Note
* Alle varianti del nome CasalnuovoCasal NuovoCasalenuovoCasal Novo, preferiamo utilizzare nel testo - salvo nel caso di eventuali citazioni e stralci da altri autori- l’accezione “Casalnovo”, per aderenza ai documenti offerti nella sezione “APPENDICE DOCUMENTARIA”. Le foto a corredo del presente lavoro, tranne quelle dei due sigilli concesse e autorizzate dall’Archivio di Stato di Napoli, sono dell’autore.
S. FISCHETTI, Novità archivistiche su Manduria-Casalnovo: emblema civico e inediti, in “Cenacolo”, Rivista storica di Taranto, n. s. XV (XXVII), 2003, pp. 89-114.
Si tratta del vol. 120 che, ai ff. 36r-60v, riporta documenti relativi alla torre di San Pietro in Bevagna del 1577-78. Anche i voll. 121 (1582-83), 129 (1697), 130 (1727), contengono documenti contabili su questa torre. Un altro sigillo con emblema civico di Casalnovo, sia pure scarsamente nitido, lo abbiamo rinvenuto proprio nel f. 188r del vol. 121, nel quale figurano stemmi a secco di Brindisi, Veglie, Avetrana. Va annotato che quest’ultima località contribuiva, nella seconda metà del ‘500, per il mantenimento del servizio di guardia nella postazione di Torre Colimena. La torre e tutto il territorio a ridosso della zona costiera sono attualmente amministrati dal comune di Manduria, ma i cittadini e gli amministratori avetranesi, da diversi anni in qua, ne rivendicano in modo vigoroso l’appartenenza anche in termini affettivi e morali.
N. PALUMBO, Araldica civica e cenni storici dei comuni di Terra jonica, Manduria, Lacaita editore, 1989 (le pp. 69-89 e 323-400 riguardano Manduria); N. PALUMBO, Nobilitas mandurina (stemmi e documenti), pubblicato a cura della Civica amministrazione in occasione dei festeggiamenti per il bicentenario della restituzione dell’antico nome di Manduria, Manduria, Graphica PB e C, 1989, pp.32; N. PALUMBO, Gli stemmi civici di Manduria, Francavilla Fontana ed Oria fra storia e leggenda, in “QuaderniArcheo”, periodico di cultura a cura dell’ArcheoClub di Manduria, I (1996), n. 1, pp. 123-152, Manduria, Barbieri edizioni, 1996.
PALUMBO, Gli stemmi civici, cit., p. 127.
PALUMBO, op. cit., p. 127.
PALUMBO, op. cit., p. 127. Il Librone magno, ms. custodito oggi nella biblioteca civica “M. Gatti” di Manduria, è considerato da Rosario JURLARO «una specie di strumento della Chiesa Madre per il controllo delle parentele onde evitare matrimoni fra consanguinei» (cfr. il suo saggio Lotte fra notabili cristiani novelli a Manduria nel XVI secolo, in “SEFER YUHASIN”, V, 1989, 3, dicembre, p. 34, nota 3.
M. GRECO – G. JACOVELLI – B. TRAGNI, Lu Scegnu ritrovato: il Fonte Pliniano in tre conferenze, Manduria, Tiemme Srl – industria grafica, 1995, pp. 80 (la relazione del GRECO, emendata su correzioni dello stesso autore, è alle pp. 9-35; 1ª edizione: “Del Genio in riva…” Lu Scegnu, Manduria, Arti Grafiche Lacaita, 1957, pp. 29). Cfr. anche dello stesso M. GRECO, Immigrazione di albanesi e levantini in Manduria desunta dal “Librone Magno”, in “Rinascenza Salentina”, Organo della R. Deputazione di Storia Patria per le Puglie, Lecce, VIII, 1940, 3-4, pp. 208-220 (in estratto, pp. 15) e Un nucleo di albanesi e levantini in Manduria nel secolo XV e XVI, in “Rivista d’Albania”, IV, 1943, 2, giugno, pp. 90-108. Nel volume di M. GRECO, Superstizioni Medicamenti Popolari Tarantolismo, Manduria, Filo editore, 2001, pp. 152, sono contenute precise ed esaurienti notizie bio-bibliografiche su questo autore a cura di Rino CONTESSA al quale sono dovuti l’introduzione, la notizia bio-bibliografica, le note al saggio e l’elenco sistematico degli scritti editi.
GRECO – JACOVELLI – TRAGNI, op. cit., p. 21.
GRECO – JACOVELLI – TRAGNI, op. cit., p. 22. Questa intuizione del Greco, per la verità, non gode che di qualche flebile indizio documentario e la si ritrova anche in alcune sue schede manoscritte, Scarnica ca l’acchi, conservate nella “Gattiana” di Manduria. Tale ipotesi, sulla base anche di quanto hanno scritto gli storici manduriani dal XVII secolo in poi (in particolare, Leonardo TARENTINI nelle seguenti due sue opere: Manduria sacra ovvero storia di tutte le chiese e cappelle distrutte ed esistenti, dei monasteri e congregazioni laicali dalla loro fondazione fino al presente, nuova edizione a cura di Elio DIMITRI, annotata e aggiornata, Manduria, Barbieri edizioni, 2000, pp. 336, 1ª edizione Manduria 1899; Cenni storici di Manduria antica – Casalnuovo – Manduria restituita, ristampa anastatica dell’edizione stampata a Cosenza nel 1931, Manduria, Antonio Marzo editore, 1984, pp. [5]-232), è stata in qualche modo ripresa da Pietro BRUNETTI nel suo saggio Ipotesi sulla coesistenza di due culture e due comunità contrapposte dall’XI sec.: Manduria ortodossa e Casalnuovo cattolica, in “QuaderniArcheo”, Manduria, nn. 6-7, maggio 2002, pp. 101-120 e nel volume MANDURIA tra storia e leggenda dalle origini ai giorni nostri, Manduria, Barbieri/Selvaggi editori, 2007, pp. 159-184. Ma anche la ricostruzione storica del Brunetti è di fatto priva del sostegno documentario e dà per scontata la fondazione normanna di Casalnovo, storicamente non accertata ed anzi negata dalla recente storiografia (cfr. C. D. POSO, Puglia Medievale. Politica, istituzioni, territorio tra XI e XV secolo, Galatina, Mario Congedo editore, 2000, p. 49, nota 54).
10 L’espressione Felix Manduria appartiene ad un componimento poetico in latino di un autore seicentesco, interamente riportato con la traduzione a p. 36 del bel volume di F. FILO SCHIAVONI e M. ANNOSCIA, …tra i segni di tanta vita e di tanta storia… MANDURIA in immagini e documenti fra ‘800 e ‘900, Manduria, TM editore, 1994, rintracciato in un manoscritto conservato nella Biblioteca “M. Gatti” di Manduria. Ci sono piccole varianti formali, ma è chiaro che i versi derivano dall’opera di padre Bonaventura da LAMA, Cronica de’ Minori Osservanti riformati della provincia di S. Nicolò, Lecce, Edizioni del Grifo, II, 2002 (ristampa dell’edizione di Lecce, 1724), pp. 71-72. Di essi forniamo la traduzione nella versione di Mario Annoscia: «Sorgendo nel mezzo d’una fonte il Mandorlo dice:/ ‘Hai sete? Cogli il mio frutto, eccoti l’acqua, spegni la sete. / In questi luoghi niente manca’. Ciò mostra l’albero di Fillide/ e il campo buono alla messe, e pure l’acqua limpida e dolce./ O Manduria felice! ché se i granai del regno son vuoti/ pieni hai i tuoi./ Di cosa non sarà capace la carità, cosa mai non farà la turpe miseria?/ Ma dov’è la fatica dei campi nessuno è povero davvero». Ulteriori significati della sigla “F. M.” sono stati da altri ipotizzati: il primo, FAMIGLIE MANDURIANE, con specifico riferimento allo stemma del Librone magno, nel quale sono annotati i matrimoni, le parentele e le discendenze delle famiglie di Manduria a partire dalla seconda metà del XVI secolo; l’altro, FAMULAE MARIAE o FILIA MARIAE, per il particolare attaccamento nonché la secolare e filiale devozione del popolo manduriano alla Beata Vergine Maria.
11 A.S.N., Torri e castelli, cit., vol. 120, f. 41r.
12 Tra i tanti testi sull’argomento è sufficiente citare il volume, con contributi di diversi autori,Le torri costiere per la difesa anticorsara in provincia di Taranto, Firenze-Taranto, 1982, pp. 192, al quale si rinvia per la bibliografia generale e specifica. Alle torri di Terra d’Otranto è dedicato il volume di G. COSI, Torri marittime di Terra d’Otranto, Galatina, Congedo editore, 1989, pp. 232 con 130 illustrazioni.
13 R. JURLARO, Lotte fra notabili, cit., pp. 35 e 36. Per comprendere gli aspetti della vita civile, economica e religiosa di Casalnovo nel XVI secolo, fondamentale è il saggio di Gianni JACOVELLI, Manduria nel Cinquecento, in Studi di storia pugliese in onore di Giuseppe Chiarelli, II, Galatina, Congedo editore, 1973, pp. 427-498.
14 A.S.N., Torri e castelli, vol. 120, ff. 36v e 40v.
15 A.S.N., Sommaria, Partium, vol. 522 (1565) e vol. 536 (1566), f. 41r.
16 A.S.N., Sommaria, Partium, vol. 522 (1565), ff. 232v-233r.
17 A.S.N., Sommaria, Partium, vol. 536 (1566), f. 252r.
18 È questo un fondo molto importante soprattutto per la storia moderna, ordinato cronologicamente secondo le sedute nelle quali furono trattate le questioni presentate, non molto consultato a causa delle difficoltà o complessità di consultazione, specie se la ricerca abbraccia decenni o secoli, ma sicuramente interessante poiché esso, come scrive Vittorio De Marco, «permette di misurare il “polso” di una diocesi per il periodo preso in considerazione in quanto a scrivere – per i più svariati motivi – era il vescovo, il clero, il vicario generale, il singolo prete o il chierico, le confraternite, le bizzoche, le monache, le università, il barone del luogo e singoli privati. È un fondo archivistico quindi che si è formato dal basso e che ci permette di conoscere gli umori del popolo e del clero soprattutto per quanto riguarda i decreti tridentini e le resistenze che in loco si incontrarono per la loro applicazione» (cfr. V. DE MARCO, Fonti per la storia moderna della diocesi di Brindisi nell’Archivio Segreto Vaticano, in “Brundisii res”, annali della biblioteca «A. De Leo» di Brindisi, XIV, 1982, ma edito nel 1988, p. 60).
19 È questo il caso dei documenti estratti in copia dai registri capitolari del 1576 (oggi perduti) della dioecesis nullius di Maruggio e allegati alle lettere di ricorso presentate nel novembre del 1661 alla Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari da alcuni sacerdoti, i quali non erano stati ammessi nel clero capitolare di quella chiesa in quanto, secondo un’antichissima consuetudine, ogni singolo esponente e i rispettivi legittimi genitori dovevano essere nativi del luogo. Tali documenti e pochi altri sono stati da noi segnalati all’amico Cosimo Demitri che li ha potuti utilizzare con profitto nel suo recente lavoro intitolato Cronache e aspetti di vita religiosa a Maruggio tra Cinquecento e Novecento, Manduria, Filo editore, 2002, pp. 152. E dato che siamo in tema di segnalazioni, non ci esimiamo dal farlo per un grosso incartamento rinvenuto nello stesso fondo documentario della Sacra Congregazione, datato 27 gennaio 1662, riguardante una controversia sorta tra la chiesa locale e il principe di Tricase, diocesi di Alessano, a causa dell’apertura di una finestra su un muro del palazzo baronale, di nuova costruzione, confinante con la chiesa matrice. La segnalazione la sentiamo quasi doverosa a quanti fossero interessati, in quanto i documenti beneficiano di splendidi disegni ad essi allegati e che qui di seguito brevemente elenchiamo con le stesse diciture da noi diligentemente trascritte: “Pianta della fabrica nova appoggiata alla Chiesa Matrice di Trecase dalla parte di mezzo giorno con la fenestra controversa”; “Pianta della fabrica nova appoggiata alla Chiesa Matrice di Trecase dalla parte di tramontana”; “Pianta della fabrica e Portico vecchio che appoggiava alla Chiesa Matrice di Trecase”.
20 Alla figura di questo arcivescovo del Seicento abbiamo già dedicato due brevi saggi:Monsignor Tommaso Caracciolo Arcivescovo di Taranto (1637-1663). Origine e diffusione del culto di San Gaetano nella diocesi tarantina, in “Regnum Dei - Collectanea Theatina, 1995, 121, gennaio-dicembre, pp. 255-298, con 7 illustrazioni e documenti inediti; Missae solemnes di Monsignor Tommaso Caracciolo, arcivescovo di Taranto (1637-1663), in “Santini et similia”, II, 1996, 5, luglio-settembre, pp. 3-8, con 6 figure a colori, pubblicato anche, con lo stesso titolo, in “Regnum Dei – Collectanea Theatina, 1999, 125, gennaio-dicembre, pp.279-283, con 4 figure a colori.
21 A.S.V., Congregazione dei Vescovi e Regolari, Positiones, sezione Vescovi, 1645, mazzo maggio-giugno, sessione del 26 maggio 1645: Fede de dignità e preiti del modo che si trova posto quello che il Vescovo chiama Baldacchino.
22 A.S.V., Positiones, cit.: Per Costantino Primicerio, et altri d’Oria.
23 A.S.V., Positiones, cit., 1645, mazzo maggio-giugno, sessione del 19 maggio 1645: Per il promotore fiscale della Curia Vescovale di Oria.
24 A.S.V., Positiones, cit.
25 A.S.V., Positiones, cit., 1653, mazzo aprile-giugno, sessione del 26 aprile 1653: Per la Comunità della Terra di Casalnovo, diocesi di Oria. Il monastero in questione è quello delle benedettine, tra le più antiche comunità religiose femminili della diocesi di Oria, essendo sorta intorno alla metà del Cinquecento in pieno fervore tridentino. Il Tarentini, nella sua operaManduria sacra, cit., p. 148, scrive che nei manoscritti capitolari, sin dal 1550, trovava menzionato «un gruppo di zitelle che militavano sotto la regola di S. Benedetto da Norcia in una località presso alla Porticella e vivevano in comunità. Mancante di chiesa propria uscivano tutti i giorni per adempiere, nella chiesa matrice, agli obblighi che non potevano soddisfare nella casa o convento che si fosse, quella ove abitavano. E lo potevano benissimo, perché la legge strettissima della clausura non ancora era stata promulgata dal S. Concilio di Trento». A questo monastero è stato dedicato di recente il volume Il Monastero delle Benedettine di Manduria. Ricerca storico-archeologica, con contributi di Elio DIMITRI, Arcangelo ALESSIO e Antonio QUARANTA, Manduria, Regione Puglia – Centro regionale servizi educativi e culturali, 1992, pp. 144.





Lizzano, piazza Matteotti.

Lizzano, piazza Matteotti.

XXII CONCORSO "ASPERA" (Milano 1984).

XXII CONCORSO "ASPERA" (Milano 1984).
Copertina della rivista milanese "Alla bottega".

Esito del XXII concorso "Aspera".

Esito del XXII concorso "Aspera".
Giudizi della giuria (1° e 2° classificati).

Poesia seconda classificata.

Poesia seconda classificata.